DALLA SINDROME DEL SOPRAVVISSUTO ALLA SUA CURA

Il campo di sterminio di Birkenau
Il campo di sterminio di Birkenau in Polonia

Quando si vivono delle esperienze traumatiche dove qualcuno perde la vita, chi continua a vivere spesso sviluppa un senso di colpa e vergogna per il fatto che altri non ce l’abbiano fatta.

Uno storico esempio è quello del suicidio dello scrittore ebreo Primo Levi, sopravvissuto allo sterminio nazista e alla vita nei campi di concentramento, che sarebbe rimasto vittima di un forte senso di colpa nei confronti invece di chi è morto a causa di quella terribile esperienza.

Lo studio dei sintomi dovuti a tali traumi risale alla guerra civile americana (1861 – 1865) quando numerosi soldati presentarono il disturbo che venne definito “Soldier’s heart” (il cuore del soldato).

In seguito, con i sopravvissuti ai Lager Nazisti si è iniziato a parlare di “Sindrome dei campi di concentramento”, quando il senso di colpa interferiva con la loro vita sociale. Negli anni ’70 dello scorso secolo essa è stata ribattezzata come “Sindrome del sopravvissuto”.

Il forte trauma dei Lager Nazisti portava a un difficile ritorno alla normalità quotidiana dovuto all’intolleranza per aver avuto un destino positivo rispetto ad altri. Chi ne venne colpito pensava di non aver fatto abbastanza per gli altri compagni di sventura, si rinchiudeva in se stesso, soffriva di ansia, irritabilità, insofferenza nei confronti altrui e del mondo in generale.

Tale sindrome ad oggi  colpisce circa un 25% delle persone sopravvissute a tragici eventi.

L’idea della mancanza di giustizia per le persone porta a chiedersi “Perché io si e gli altri no?” Ma questa è una domanda a cui razionalmente non può essere data una risposta e nonostante tale consapevolezza, i pensieri negativi e il continuo rimuginare su di essi portano alla sindrome stessa.

Fortunatamente negli anni si è avuta la possibilità di applicare delle terapie efficaci alla risoluzione del forte senso di colpa, non solo attraverso cure farmacologiche, ma anche con la psicoterapia classica o metodi nati appositamente per l’elaborazione dei traumi come l’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), “utilizzato per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress, soprattutto allo stress traumatico.

L’EMDR si focalizza sul ricordo dell’esperienza traumatica ed è una metodologia completa che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra per trattare disturbi legati direttamente a esperienze traumatiche o particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo.

Dopo una o più sedute di EMDR, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico hanno una desensibilizzazione, perdono la loro carica emotiva negativa. Il cambiamento è molto rapido, indipendentemente dagli anni che sono passati dall’evento. L’immagine cambia nei contenuti e nel modo in cui si presenta, i pensieri intrusivi in genere si attutiscono o spariscono, diventando più adattivi dal punto di vista terapeutico e le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità. L’elaborazione dell’esperienza traumatica che avviene con l’EMDR permette al paziente, attraverso la desensibilizzazione e la ristrutturazione cognitiva che avviene, di cambiare prospettiva, cambiando le valutazioni cognitive su di sé, incorporando emozioni adeguate alla situazione oltre ad eliminare le reazioni fisiche. Questo permette, in ultima istanza, di adottare comportamenti più adattivi” (dal sito ufficiale emdr.it).

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