L’EMDR AI TEMPI DEL COVID19

Emdr3Come più volte ho detto ai miei pazienti rientrati in studio, non possiamo riprendere il lavoro da dove lo avevamo interrotto da marzo scorso, ma dobbiamo considerare tutto il vissuto avvenuto dopo e fino ad oggi.

In queste settimane in cui ho ripreso a lavorare, l’EMDR più che mai dimostra di essere un un’arma vincente nell’affrontare i traumi.

Diversi sono stati i vissuti delle persone, tante le paure, l’angoscia che toglie il fiato e paradossalmente (forse, considerato che la pandemia non è risolta), la paura di ripartire. Senza valutare poi tutti i problemi “ordinari” che ognuno di noi ha continuato a dover affrontare.

Ci sono diverse storie che potrei raccontare. Una fra loro è quella della paziente che torna da me e piange ininterrottamente, dicendomi che quella era la prima volta che si concedeva di farlo da quando era iniziato il lockdown. Aveva sempre tenuto la calma, anche se le notti erano diventate sempre più lunghe e il sonno sempre meno.

In modo spontaneo la paziente mi racconta che quella situazione l’aveva vissuta anche da piccola quando una vecchia tata la rinchiudeva in uno sgabuzzino per punirla e le diceva di non piangere, altrimenti l’avrebbe lasciata per tutto il pomeriggio lì dentro. Quella bambina era diventata brava a non piangere, ma la notte riviveva tutta l’angoscia che non poteva esprimere durante il giorno.

Le stesse sensazioni sono state vissute da quella che è oggi una donna ai tempi del Covid19, costretta a rimanere chiusa in casa.

E’ stato bello poter accogliere il pianto della mia paziente che è riuscita a concederselo nel suo spazio terapeutico ed è stato magnifico poterla aiutare con l’EMDR a neutralizzare quei ricordi infantili e aiutarla ad elaborare con la mente adulta la situazione presente.

E’ stato soprattutto soddisfacente vedere la paziente alla seduta successiva raccontare di aver ripreso a dormire un sonno tranquillo e rigenerante.

La vita ci pone di fronte a tanti traumi che a volte pensiamo di aver superato o di aver dimenticato, ma quotidianamente possono presentarsi delle situazioni che ci rimandano indietro nel tempo facendoci vivere le stesse paure di allora. Ma attraverso la stimolazione bilaterale usata con l’EMDR quei ricordi vengono neutralizzati, così da impedire loro di avere impatti negativi sulla vita attuale e futura.

COPPIE SCOPPIATE IN QUARANTENA

Coppie-infeliciPeriodo di crisi per tutti, chi più chi meno e chi per diversi motivi. Ad esempio, è questo il periodo in cui le coppie che sono costrette a passare molto più tempo insieme arrivano a livelli di insofferenza tali da avere la sensazione di non sopportare nemmeno più la vista dell’altro.

Momenti del genere possono capitare pure nelle migliori famiglie. È fisiologico infatti che la mancanza di libertà personale, gli spazi sempre più ristretti delle case moderne e la mancanza di una data effettiva del ritorno ad una vita un po’ più “libera” metta a dura prova chiunque. Figuriamoci quelle coppie che avevano dei problemi di base prima del Coronavirus e sfruttavano il lavoro per passare meno tempo possibile insieme.

Tutto ciò, per la maggior parte delle coppie ora non è più possibile. L’insofferenza aumenta e tanti si rendono conto di situazioni che prima non volevano vedere.

Qualcuno ormai si lamenta anche dell’orribile modo in cui l’altro parla, ride, mangia e dorme. Insomma il livello di tolleranza rischia di essere sempre meno.

Sappiate che tutti questi fastidi non sono altro che sintomo di situazioni non affrontate da chissà quanto tempo. Allora che dire?

Non è che solo per il fatto che siamo in quarantena tutto questo non possa essere affrontato, anzi, sarebbe bene non usare il Coronavirus come scusa per lasciar perdere, così come prima si usava il lavoro che ci teneva lontani da casa.

#psicologionline

Skype
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So che la sensazione generale è di essere in pausa in attesa di un tempo che pare non arrivi mai, ma siccome possiamo tutti fare qualcosa, ho deciso di prendere in carico anche dei pazienti nuovi tramite colloqui online, oltre a quelli che ho già.

Quindi, anche agganciandomi all’iniziativa del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) e vista la situazione di emergenza, ho deciso di aderire assieme a tanti altri colleghi all’iniziativa #psicologionline una rete di psicologi che sono disponibili ad effettuare interventi online.

In un unico motore di ricerca nazionale sarà possibile trovare i professionisti pronti ad adattare, limitatamente al periodo dell’emergenza, le loro modalità lavorative per continuare a tenere viva la loro professionalità e a venire incontro a chi ora più che mai ha bisogno di un intervento psicologico.

Tante sono le preoccupazioni di questi giorni che spesso sfociano in angoscia e sintomatologie varie tra cui ansia, attacchi di panico, ansia generalizzata, ipocondria, pensieri catastrofici, paure ingestibili che possono essere contenute e gestite con l’aiuto di professionisti specializzati in questo campo.

Oltre a questo, il mio servizio di trattamenti online è destinato anche a quelle persone presenti nel mio territorio che una volta finito il periodo di emergenza vogliano proseguire con un trattamento psicoterapeutico e con EMDR nello studio in Via Raffa Garzia a Cagliari e come sapete, a tutti i pazienti che già facevano psicoterapia con me.

E intanto #iorestoacasa.

 

TEMPI LENTI E TUTTI A CASA

Tempo lento
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Sono giorni pesanti questi. Potremmo leggere libri, rilassarci, approfittare per fare delle cose in casa che ci siamo ripromessi di fare d tempo.

Ma non sempre questo è possibile, perché abbiamo i bambini in casa che hanno bisogno di attenzioni e di una particolare sensibilità al fatto che anche la loro vita sia stata stravolta. Allo stesso tempo dobbiamo essere ferrei con loro e con quelli più grandi perché non possiamo permetterci di trasgredire le regole e uscire di casa, dove sarebbe più facile far trascorrere il tempo.

Abbiamo preoccupazioni per il nostro lavoro e per l’economia in generale che non si sa per quanto tempo rimarranno congelati.

Abbiamo apprensione per i nostri cari, quelli che sappiamo di aver riscontrato il virus, quelli che devono lavorarci a stretto contatto.

Sono giorni in cui ci chiediamo, chissà quando finirà?

In momenti del genere dobbiamo sicuramente tenere la calma e la lucidità, cercando di prendere le informazioni su ciò che accade da fonti ufficiali e non dai numerosi Napalm51 che non aspettano altro che sputare sentenze, giudizi e ipotesi complottistiche sui primi social che capitano per mano.

E possiamo evitare di aggiungere ansia alle preoccupazioni stando sempre attaccati ai notiziari.

Cambiare argomento può far bene, stacca la mente per quanto possibile, ci aiuta a trovare una bolla di normalità.

Anche i figli ne gioveranno.

Non potendo far attività sportiva fuori casa e visto che tanti si dilettano a sfornare torte e biscotti, possiamo dedicare qualche minuto al giorno a un po’ di movimento fisico. Sfruttare ad esempio quegli attrezzi da palestra che chiunque noi ha in casa, basta ricordarsi dove li abbiamo messi!

E non essendo muniti di attrezzi (o non trovandoli), ci si può comunque sgranchire, in un modo o nell’altro. Un po’ di endorfine e un risveglio mirato a tutte le parti del corpo può solo che giovare.

So bene che non siamo in vacanza, ma so anche che non sapendo quando potremmo tornare alle nostre vite fuori casa, tutto può essere frustrante e creare svogliatezza. Obbligarsi ad attivarsi durante la giornata aiuta mente e corpo a trascorrere meglio il tempo.

Prima o poi finirà e potremmo tornare tutti a lamentarci di altro, perché noi siamo dei lamentosi, ma forse ci renderemo conto che ciò di cui ci lamentavamo prima del coronavirus in fin dei conti non era così grave come lo vivevamo.

Avanti tutta, quindi.

 

 

I BAMBINI NON SANNO CHE…

NeonatiI bambini non sanno che i genitori vanno sempre o quasi di fretta e quindi li vorrebbero sempre a loro disposizione e pronti a giocare.

Non sanno che quando i genitori stanno con loro li accudiscono e giocano, nel mentre pensano alla cena, alle bollette, alla stanchezza e quindi li “sfruttano” il più possibile.

I bambini non sanno che se loro non dormono non lo possono fare nemmeno mamma e papà e a volte sembra lo facciano apposta.

I bambini non sanno che mentre i genitori non stanno con loro sono spesso a lavoro e che potrebbero tornare a casa stanchi.

Tutto questo spesso non lo sanno nemmeno i genitori prima che i bimbi arrivino nelle loro case, qualche volta lo sentono dire, ma non è mai come nella realtà. E quando i bambini arrivano ad invadere totalmente il loro spazio possono rimanere scioccati da tutto il potere che sulle loro vite, esseri così piccoli ed indifesi, possano avere.

Allora ci vuole del tempo per trovare un nuovo equilibrio, tanta stanchezza e a volte sofferenza, che non tutti hanno il coraggio o semplicemente la possibilità di esternare.

Però, a poco a poco le cose si sistemano a ognuno riesce a trovare il proprio spazio, a volte invadendo anche quello degli altri, ma si trova.

Si trova se mamma e papà sono uniti e d’accordo su come accogliere il bambino.

Si trova quando oltre ad essere genitori continuano ad essere una coppia. E quando ad un certo punto mamma e papà diventano interscambiabili, così che quando uno è troppo stanco arriva l’altro a dare il cambio.

Si trova quando la sera si ha voglia di rinchiudersi in un abbraccio nonostante la voglia di andare a dormire.

Si trova quando il nuovo arrivato non viene visto come un nemico o qualcuno che deve risolvere i problemi, perché i bambini la vita la complicano. La complicano logisticamente, ma la nutrono emotivamente.

Si trova un equilibrio quando tutti vogliono percorrere la stessa strada, quella del benessere.

L’AMICIZIA AI TEMPI DI INTERNET

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immagine dal web

Internet ci ha da subito stravolto la vita sia in positivo che al contrario. Ha investito qualsiasi aspetto della nostra routine, da quella professionale a quella privata, modalità relazionali comprese.

Se puntiamo un occhio ad esempio verso quelle amicali possiamo notare enormi differenze tra il prima e il dopo-web, complici soprattutto i social media. Pensiamo al concetto di “amico” in essi, che si riferisce a qualsiasi persona che semplicemente è collegata al nostro account. Si parla appunto di “richieste di amicizia” quando questa ha invece significati molto più profondi di un semplice collegamento virtuale. “L’amicizia è un tipo di relazione interpersonale, accompagnata da un sentimento di fedeltà reciproca tra due o più persone, caratterizzata da una carica emotiva. […] viene percepita come un rapporto basato sul rispetto, la sincerità, la fiducia, la stima e la disponibilità reciproca” [Dizionario di filosofia Treccani]

L’amicizia da web manca di linguaggio verbale e fisico, compreso il contatto e le emozioni che da esso scaturiscono.

I social danno la sensazione di poter instaurare legami in modo molto veloce, è così è di fatto, ma allo stesso tempo costituiscono scambi pur sempre superficiali perché mancano di caratteristiche fondamentali.

Prima le amicizie si coltivavano in piazza e nei cortili sotto casa, ora paradossalmente lo si fa a distanza, ognuno da casa propria. Oppure insieme fisicamente, ma stando immersi nel proprio smartphone. E’ un continuo tenere sotto controllo l’altro e il gradimento amicale viene misurato a suon di likes ed emoticons.

E si tende a mostrarsi diversi da quello che si è davvero perché virtualmente si evitano i veri confronti.

Ma se da un lato i social possono creare delle distanze, dall’altro le possono accorciare.

Decine di anni fa c’erano le amicizie epistolari, che gradualmente venivano abbandonate. Ora le lettere non esistono praticamente più, ma avere collegamenti social di persone lontane permette in un certo senso di prolungare il legame con esse, che altrimenti verrebbe perduto. O ancora, permette di ritrovare conoscenze perse di vista da lungo tempo per diverse circostanze.

Inoltre l’appartenenza a gruppi che condividono un interesse comune permette di conoscere individui con cui poter coltivare le stesse passioni anche nella realtà quotidiana.

Altro aspetto vettoriale nei confronti delle relazioni è che internet permette anche alle persone impossibilitate ad uscire da casa di instaurare dei legami con altri individui, seppure virtuali e perciò limitati, permettendo loro di sentirsi meno sole.

Forse l’avvento dei social ha fatto si che potessimo allargare le nostre conoscenze alle più disparate tipologie di persone, azzerando totalmente le distanze geografiche e generando delle piazze virtuali. Allo stesso modo la maggior parte di tali legami risulta superficiale e filtrato da ciò che in realtà si vuole far apparire.

E’ sicuramente indispensabile aver presente che per coltivare una vera Amicizia occorrono condivisione, tempo da trascorrere insieme, esperienze in comune, affetto, interesse a prolungarla, scambio di relazione, fiducia reciproca e confronti veri e reali.

Le relazioni online, seppure tanti siano convinti del contrario, mancano di alcuni di questi aspetti, quindi è sempre meglio integrarle alle modalità reali.

 

 

“ED IO TI PENSO MA NON TI CERCO” di Charles Bukowski

Charles Bukowski
Charles Bukowski – Immagine dal web

Un paziente che da poco si è ritrovato a chiudere una relazione a cui tanto teneva, ma che allo stesso tempo ha leso il suo benessere, ha chiesto di poter iniziare il colloquio leggendomi la poesia di Charles Bukowski “ Ed io ti penso ma non ti cerco” per descrivermi lo stato d’animo in cui versa in questi giorni, pur essendo assolutamente convinto della sua decisione.

Considerato che a partire da quelle parole si è aperta un’infinità enorme di riflessioni terapeutiche, ho deciso di condividere con voi la poesia, sperando di offrire giusti spunti a chi in questo momento possa averne bisogno, pur non essendone totalmente consapevole.

Buona lettura a voi tutti quindi.

“Non ho smesso di pensarti,

vorrei tanto dirtelo.

Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,

che mi manchi  e che ti penso.

Ma non ti cerco.

Non ti scrivo neppure ciao.

Non so come stai.

E mi manca saperlo”.

“Hai progetti?

Hai sorriso oggi?

Cos’hai sognato?

Esci?

Dove vai?

Hai dei sogni?

Hai mangiato?”.

“Mi piacerebbe riuscire a cercarti .

Ma non ne ho la forza.

E neanche tu ne hai.

Ed allora restiamo ad aspettarci invano”.

“E pensiamoci. E ricordami. E ricordati che ti penso, che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,

che scrivo di te.

E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.

Ed io ti penso ma non ti cerco”.

EFFETTO STRUZZO: COSA SUCCEDE SE PROVIAMO AD IGNORARE I PROBLEMI?

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Quante volte di fronte ad una notizia o situazione negativa ci siamo detti di non volerci pensare? E quante volte lo abbiamo visto in altre persone e  abbiamo detto loro di non nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi? Anche se, a quanto pare non è vero che gli struzzi facciano così, è uso comune invece affermarlo.

Da un punto di vista psicologico, nascondere la testa sotto la sabbia significa archiviare appositamente nella mente le informazioni negative. Una sorta di istinto di sopravvivenza che ci porta a voler in qualche modo “alleggerire” le situazioni andando a creare quello che viene nominato effetto struzzo (ostrich effect), che in qualche modo ci porta pure a sperare che i problemi si risolvano da soli.

E’ quindi una sorta di difesa mentale, ma che non può essere categorizzata come efficace. Infatti evitare i problemi non li fa risolvere più in fretta, ne spontaneamente, se non in rari casi. Anzi, potrebbe solo esacerbarli e portare a conseguenze ancor più negative come non raggiungere gli obiettivi, non prendere lucide decisioni, aumentare la gravità del problema stesso. Prendiamo ad esempio chi decide di non far controlli medici pur sapendo di averne bisogno.

Insomma, l’effetto struzzo può portare sicuramente a problemi che sarà sempre più difficile evitare e risolvere mano a mano che passa il tempo. Pensiamo ancora a chi non è felice nella sua relazione e fa di tutto per evitare di pensarci fino a che raggiunge livelli di infelicità altissimi e a stati di dipendenza patologica sempre più difficili da risolvere.

L’unico modo di risolvere i problemi parte dal riconoscerli e attuare delle strategie consapevoli e finalizzate alla risoluzione stessa. Naegarli non è una strategia adattiva.

Affrontare ed impegnarsi per risolverli inoltre porta ad essere più sicuri di se stessi e resilienti nei confronti della vita.

Insomma, nessuno vorrebbe avere a che fare con i problemi, ma penso che non esistano persone che non ne abbiano. Quindi meglio essere consapevoli che non “fare gli struzzi” può solo aiutare a stare meglio.

Al limite ci si può mettere in testa, quando sono troppi, di risolverli uno alla volta, decidendo con responsabilità quali siano quelli a cui dare priorità, ma pur sempre accettando di affrontarli.

Perché ho parlato dell’effetto struzzo? Perché capita sovente che quando arrivano  nuovi pazienti in studio alla domanda: “Cosa ti ha spinto a chiedere un aiuto proprio ora”? che la risposta sia: “Non voglio più far finta che il mio problema non esista e voglio assolutamente risolverlo”.

 

CONGRESSO DI VERONA, QUANTE FAMIGLIE ESCLUSE?

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Qualche giorno fa, come tutti ben sanno, a Verona si è svolto il congresso delle famiglie.

Non ho potuto seguire tutto per filo e per segno, ho forse non ho voluto farlo fino in fondo, considerato quanto fossi inorridita dalla situazione. Mi è spiaciuto pure che tale evento sia stato chiamato Congresso delle famiglie, considerato quanto abbia rappresentato una anacronistica caccia alle streghe.

Possiamo disquisire a lungo sul concetto della famiglia e sulla sua etimologia. Ma mi pare veramente inaccettabile che ai giorni nostri, un tale fenomeno possa essere solo pensato.

Perché sono inorridita? Prima di tutto il gadget del feto in plastica per la propaganda contro l’aborto non poteva suscitarmi altro che orrore:  assoluta mancanza di rispetto verso il genere umano.

Come professionista, capita di tanto in tanto di venire chiamata da donne che decidono di abortire, per diversi motivi. Sono donne che non prendono una tale decisione a cuor leggero, lo fanno con sofferenza, dubbi. A volte lo decidono perché non in grado di dare ad un futuro figlio l’amore e l’accudimento che si meriterebbe. A volte perché vengono diagnosticate gravi malattie, a volte perché la madre corre seri pericoli di vita. Come poterle giudicare e come poter negare loro di farlo?

Senza contare tutti i commenti fatti riguardo all’omosessualità.

E la famiglia? La famiglia è quella descritta solo ed esclusivamente con un padre, una madre e dei figli naturali.

Tutto ciò suona di inopportuno e taglia sicuramente fuori un’enorme fetta di persone che hanno il totale diritto di amare ed essere amate.

Tutti possono essere famiglia.

E le famiglie, quelle “normali”, spesso e volentieri lo sono solo sulla carta. Siamo abituati a chiamare famiglia a volte, un nucleo dove non esiste l’amore, il rispetto, la fiducia, la serenità. Conosco coppie eterossessuali, assolutamente incapaci di amare, e coppie omosessuali da prendere ad esempio a tal riguardo.

Verona è stata eletta capitale del Medioevo e l’odio e l’intolleranza espressa sapevano di  tutto, tranne che di concetto di famiglia. Come fanno esclusione e intolleranza ad andare di pari passo con l’idea di famiglia?

Sembriamo tornati indietro al Medioevo appunto, o agli anni dell’ascesa fascista e nazista, dove si voleva far pulizia di tutto ciò che fosse diverso dalla razza ariana e diverso dalla “normalità”. E proprio nei giorni in cui si svolgeva a Verona il congresso della famiglia, coincidenza ha voluto che io fossi a Roma, in visita al Ghetto degli Ebrei, quello da cui poi è avvenuta la deportazione e l’omicidio dei suoi abitanti. Pensavo e riflettevo sulla paura di come la storia possa ripetersi, su quanto basti poco per ricadere nei soliti errori. Su come il credersi migliori degli altri sia solo la punta dell’iceberg per scivolare nell’intolleranza, nella negazione dei diritti altrui, nella negazione del vero amore.

Forse più che sulle famiglie “normali”, dovremmo concentrarci su quelle dove purtroppo si esercita la violenza e la vita delle donne, spesso e volentieri, viene sacrificata da parte di chi pensa siano loro proprietà.

Le altre famiglie, quelle in cui si respira l’amore, indipendentemente dal sesso e dalla cosiddetta “naturalità” dei figli, lasciamole alla loro serenità.

 

 

QUANDO FINISCE UN PERCORSO DI PSICOTERAPIA

studioE’ sempre motivo di orgoglio e di forti emozioni per me chiudere un percorso di psicoterapia. E mi fa sempre piacere condividere con i lettori le riflessioni dell’ultima seduta fatta insieme al paziente e di quello che scrive rispetto al lavoro svolto.

Anche oggi vi propongo parte di quelle parole, sperando che ognuno di noi riesca sempre a tenere a mente di avere delle grosse risorse da utilizzare per affrontare le sfide che quotidianamente la vita ci presenta.

Buona lettura quindi, e un grazie particolare all’autore di queste righe per la fiducia e l’impegno che ha messo nel nostro percorso.

A partire da gennaio l’ansia ha iniziato ad insinuarsi nelle mie attività quotidiane e a disturbare il mio sonno, come ad indicare che vi fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui affrontavo le mie giornate. Questa situazione è andata sempre più peggiorando, al punto da portarmi ad una completa paralisi decisionale e motivazionale.

Era il momento di cercare aiuto.

Grazie alla psicoterapia  è emerso che l’ansia non era la causa dei miei problemi, ma la conseguenza. Costituiva un grido di aiuto da me stesso, verso me stesso, un segnale evidente e che non potevo ignorare, talmente chiaro ed evidente da costringermi ad affrontare per la prima volta la causa del mio malessere.

Il primo passo è stato quello di imparare a riconoscere e ad affrontare i sintomi ansiosi, che non dipendevano da fattori esterni, ma erano creati da me stesso.

Un altro passo fondamentale è stato quello di associare l’ansia all’insicurezza nell’affrontare i miei impegni, che si traduceva nel procrastinare scadenze e ad evitare in alcuni casi di mantenere certi impegni.

Dinamica che nel corso degli anni ha minato sempre più la mia autostima, già bassa di suo.

Sono arrivato alla consapevolezza che questo mio atteggiamento inconcludente era legato alla scarsa fiducia che avevo nei confronti dei miei “mezzi”.

A questo punto la situazione iniziava ad apparirmi più chiara. Il vero problema non era l’ansia, ma la mia tendenza ad evitare di impegnarmi per conseguire i miei obiettivi; e ciò accadeva perché avevo paura di mettermi alla prova, nella convinzione che non sarei stato in grado di farcela. Una volta acquisita questa consapevolezza, mi si è presentato un mondo di possibilità e ho anche provato una certa rabbia per il tempo e le occasioni perse a causa delle tante esitazioni del passato.

Ad oggi, a conclusione del mio percorso terapeutico, rimane la fiducia nei miei mezzi e la convinzione di poter raggiungere i miei obiettivi.

Gestisco i momenti di preoccupazione come fasi fisiologiche della vita che possono anzi costituire l’occasione per ribadire, ancora una volta, la consapevolezza che ho di me stesso, della mia forza e delle mie capacità.

Sono pronto per affrontare tutte le difficoltà che incontrerò nel mio cammino, ma soprattutto non vedo l’ora di togliermi le soddisfazioni che finora mi ero sempre negato.